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Moda e Guerra: Come i Conflitti hanno Influenzato il nostro Stile senza che ce ne Accorgessimo

Aggiornamento: 19 ott 2024


La moda e la guerra. Due mondi che a prima vista non potrebbero sembrare più distanti, vero? Eppure, ogni volta che un conflitto bellico scuote il mondo, l’industria della moda si adatta, si trasforma e, talvolta, si reinventa completamente. Vi siete mai chiesti perché alcuni stili diventano popolari in certi momenti storici o da dove vengono certi materiali che indossiamo ogni giorno? Forse non ci avete mai pensato, ma spesso è proprio la guerra a dettare le regole del gioco. E allora, cosa succede alla moda durante e dopo una guerra? E come influenza quello che indossiamo oggi? Ve lo racconto subito.


Innovazione e Stile Post-Bellico: Quando la Moda Torna a Brillare

Immaginate di vivere durante la Seconda Guerra Mondiale. Razionamenti, austerità, vestiti semplici e funzionali. Non ci si poteva permettere molto altro. E poi, all’improvviso, la guerra finisce. Cosa succede? La gente vuole tornare a sognare, a vestirsi con stile, a sentirsi bene.

Ed è qui che entra in scena Christian Dior. Nel 1947, con il suo “New Look”, Dior cambia le regole della moda. Dopo anni di gonne corte e abiti spartani, Dior introduce vita stretta, gonne ampie e abbondanti tessuti. Era il simbolo del ritorno all’opulenza, della femminilità ritrovata dopo gli anni duri della guerra. È incredibile pensare che, da un momento così drammatico, sia nato uno stile così iconico, vero?

E non finisce qui. Durante la guerra erano stati sviluppati nuovi materiali sintetici per esigenze belliche – parliamo di nylon e rayon, per esempio – e dopo il conflitto questi materiali si sono riversati nella moda quotidiana. Più economici, più resistenti e accessibili a tutti. Ecco che, in un certo senso, la guerra ha reso la moda più democratica, permettendo a chiunque di vestirsi con stile a un prezzo più basso.


La Moda nei Conflitti Moderni: Etica, Sfruttamento e Resistenza

Ma non pensiamo solo alle guerre del passato. Anche i conflitti moderni influenzano ciò che indossiamo, anche se in modi meno evidenti. Oggi la moda è globale, e gran parte dei vestiti che troviamo nei negozi proviene da paesi in via di sviluppo. E sapete cosa? Spesso sono proprio questi paesi a essere colpiti da guerre, disordini e crisi economiche.


1. Crisi Umanitarie e il Boom della Moda “Usa e Getta”

Quando si pensa alla guerra, forse non ci viene subito in mente l’impatto sull’industria della moda, ma riflettiamo un attimo. Pensate ai rifugiati costretti a lasciare tutto, compresi i vestiti, e a dipendere dagli aiuti umanitari. In queste situazioni, le ONG forniscono abiti di base, e spesso ciò contribuisce alla creazione di una sorta di moda usa e getta nelle aree colpite. Qui, l’abbigliamento perde il suo significato estetico, diventando solo una necessità primaria.

Nel frattempo, nei paesi più ricchi, l'industria del fast fashion esplode. Con abiti prodotti a bassissimo costo e distribuiti in tempi record, si perde sempre più il valore dell'artigianato e della durata. Eppure, molti di questi vestiti vengono fabbricati proprio in quei paesi colpiti da conflitti, dove le condizioni di lavoro sono tutt'altro che sicure.


2. Lo Sfruttamento dei Lavoratori: Il Vero Costo dei Vestiti a Basso Prezzo

Proviamo a guardare la nostra t-shirt da 5 euro con occhi diversi. Sappiamo chi l’ha cucita? Spesso proviene da fabbriche tessili in paesi come il Bangladesh o la Siria, dove lavoratori sottopagati, spesso senza diritti, realizzano questi capi in condizioni disumane. Ed è qui che i conflitti giocano un ruolo importante: la guerra e l’instabilità lasciano intere popolazioni vulnerabili, rendendole facili prede per lo sfruttamento industriale.

Un esempio? Ricordate il tragico crollo del Rana Plaza in Bangladesh nel 2013? Quella fabbrica produceva vestiti per molti marchi internazionali, e le condizioni di sicurezza erano talmente precarie che oltre mille persone hanno perso la vita. Ecco il prezzo nascosto dietro il nostro "fast fashion". Ne vale davvero la pena?


3. La Moda come Resistenza: Quando il Vestito Diventa Protesta

Ma la moda, a volte, diventa anche un’arma. Vi ricordate le magliette con slogan anti-guerra durante gli anni ’60 e ’70? O l’uso del velo come simbolo di resistenza politica in alcuni paesi del Medio Oriente? Vestirsi può diventare un atto di ribellione, un modo per lanciare un messaggio.

In molte culture, specialmente in tempi di conflitto, il modo di vestirsi diventa una dichiarazione di appartenenza, di protesta, di resistenza. Pensiamo ai colori vivaci delle manifestazioni femministe o ai movimenti di liberazione che utilizzano abiti tradizionali per riaffermare la propria identità contro l'oppressione.


E Oggi? Cosa Significa per Noi?

I conflitti bellici e geopolitici continuano a plasmare la moda, anche se forse non ce ne accorgiamo subito. Dai materiali che indossiamo, alle condizioni di lavoro delle persone che li producono, fino ai movimenti sociali che trasformano l’abbigliamento in una forma di protesta, la moda è intimamente legata alla storia che viviamo.


Come consumatori, possiamo davvero fare la differenza. Non dico di smettere di comprare, ma possiamo essere più consapevoli di ciò che c'è dietro ogni capo che indossiamo. Possiamo scegliere brand etici, preferire la qualità alla quantità e fare acquisti più responsabili.


La prossima volta che ti metti una t-shirt o acquisti un nuovo paio di jeans, chiediti: qual è la storia dietro questo capo? Magari scoprirai che non è solo un pezzo di tessuto, ma un pezzo di storia.

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